Molti militari contattano lo studio legale degli avvocati MAIELLA e CARBUTTI chiedendo informazioni circa la possibilità di essere trasferiti per mezzo del ricongiungimento familiare, pur non essendo sposati. E' legittimo un diniego per tale ragione? Cosa dice la legge? Cosa dicono le circolari interne alle diverse forze Armate e Forze di Polizia? Come tutelarsi? Gli avvocati Carbutti e Maiella provano a dare risposta alle domande pervenute attraverso questa nota a Sentenza.
Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sez. Staccata di Reggio Calabria, Pres. C. Criscenti, Est. A. Scianna, Ref. A. De Col, sent. n. 321 del 17 aprile 2019, dep. 10 maggio 2019
Ha diritto alla formulazione dell'istanza tendente al ricongiungimento familiare il militare che, pur non essendo coniugato, vanti con la compagna un rapporto qualificato dalla stabile convivenza di fatto, attestata da certificazioni anagrafiche.
La Giustizia Amministrativa afferma l’equiparazione del rapporto matrimoniale alla stabile convivenza di fatto al fine dell’unità familiare nelle istanze di ricongiungimento familiare
di Pasquale Carbutti
A seguito della crescente e costante professionalizzazione delle Forze Armate unitamente all’evolversi della società, sempre più multiculturale e basata su principi e valori in continua evoluzione, una delle questioni di maggiore interesse e rilievo per il personale militare è quella relativa al cd. Ricongiungimento familiare ovvero il trasferimento presso una sede prossima al luogo lavorativo dell’altro coniuge o compagno, per adempiere ai doveri familiari e soddisfare le aspettative di unità familiare così come sancito dall’art. 29 della Costituzione.
A ben vedere il legislatore nazionale non ha mai disciplinato il ricongiungimento familiare con una legge – quadro, limitandosi, invece, a normare e garantire tutela esclusivamente alla genitorialità con il D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e ss.mm.ii.[1]
A dire il vero, gli unici riferimenti, limitatamente al personale delle Forze Armate e Corpi armati dello Stato, sono contenuti da un lato nell’art. 1 co.5 della Legge 10 Marzo 1987, n. 100 in cui viene sancito che “il coniuge convivente del personale militare di cui al comma prima che sia impegnato di ruolo in una amministrazione statale ha diritto, all’atto del trasferimento, ad essere impiegato, in ruolo normale, in soprannumero e per comando, presso le rispettive amministrazioni site nella sede di servizio del coniuge, o, in mancanza, nella sede più vicina”[2].
L'altro riferimento è la Legge 266 del 1999 all’art. 17 afferma che : “Il coniuge convivente del personale in servizio permanente delle forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui alla legge 19 maggio 1986, n. 224, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, trasferiti d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, ha diritto, all’atto del trasferimento o dell’elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato presso l’amministrazione di appartenenza o, per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina”.
A parte queste due norme, ed il DDL 791 ancora fermo in Senato dal 2018[3], vi sono solo disposizioni a carattere interno per ciascuna amministrazione che disciplinano situazioni diverse e non rientranti nel caso contemplato dall’art. 17 della Legge 266 del 1999.
Tra queste direttive e circolari vi troviamo certamente il Regolamento Generale dell’Arma dei Carabinieri[4] che all’art. 398[5] permette il trasferimento del militare anche per il ricongiungimento familiare come da circolari applicative successive[6] ma sempre facendo riferimento al solo personale coniugato.
Le disposizioni normative ed interne ai vari dicasteri relative alla tutela della genitorialità sono, invece, diverse.
Da notare che sul piano squisitamente giuridico, la genitorialità e l’unità familiare sono due istituti che sebbene similari, devono essere visti ed analizzati distintamente, in quanto per genitorialità si fa ovvio riferimento allo status di genitore, mentre per l’unità familiare si deve leggere non solo in riferimento all’essere genitore, ma ben può comprendere, congiuntamente o disgiuntamente alla prima, anche una stabile convivenza tra persone di sesso opposto o dello stesso sesso.
La questione che qui interessa e posta all’attenzione del TAR della Calabria non è di poco conto ed ha una portata epocale per la trattazione delle istanze di ricongiungimento familiari delle Forze Armate e Forze di Polizia ad ordinamento civile gerarchicamente organizzate, per quanto concerne le persone non unite dal matrimonio, concordatario o civile che sia, ma unite solo da convivenze di fatto, attestate da certificazioni anagrafiche.
Quindi, per poter meglio comprendere il significato e la portata della sentenza è necessario premettere alcune considerazioni sugli istituti che vengono affrontati dal collegio e sulla giurisprudenza fin qui nota.
La prima e più rilevante questione fa da comune denominatore a tutte le altre ed è l'equiparazione, nel contesto dei trasferimenti di sede per ricongiungimento familiare, delle convivenze more - uxorio al matrimonio, superando il vuoto normativo che sul punto aveva lasciato la legge 20 maggio 2016, n. 76 (cd. Legge Cirinnà) dando inquadramento normativo alle sole unioni civili e non anche alle convivenze di fatto, se non in maniera più attenuata, riservando a queste ultime una equiparazione limitata a profili particolari (Cass. civ., sez. lav., 3 novembre 2016, n. 22318).
Tra l'altro si noti anche come l'equiparazione tra unioni civili e convivenze di fatto sia ormai orientamento maggioritario da parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, sebbene tratti contesti diversi da quelli oggetto del presente commento, come i permessi di soggiorno delle persone straniere, afferma chiaramente l'equiparazione tra unioni civili e coppie di fatto, purché certificate, ai fini dell'ottenimento di detto permesso[7].
Ed è quindi la questione dell’accertamento della stabile convivenza con la dimostrazione tangibile ed inoppugnabile della convivenza di fatto, come del resto sancito dallo stesso art. 37 della L. 76 del 2016, che rende necessario il riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art.4 ed alla lettera b) del comma 1 dell’art. 13 del regolamento di cui al DPR30.05.1989 n. 223.
L’indicazione operata dal TAR, non può essere limita al solo caso di specie, ma bisogna ampliare la sua portata a tutti i trasferimenti (ad esempio quello contemplato dall’art. 17 della L. 266 del 1999 o quelli contemplati nelle circolari interne) finalizzati al ricongiungimento familiare per le coppie unite da convivenze di fatto.
La vicenda può quindi essere riassunta come segue.
L’Illustrissimo Collegio ha affrontato il caso di un Carabiniere che, nel 2018 ha presentato istanza di ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 398 del Regolamento Generale dell’Arma.
Detto militare affermava di essere da molti anni convivente more uxorio con una donna e che entrambi avevano realizzato in un Comune alle porte di Catania un’abitazione, dove si sono trasferiti nel 2017. La compagna, oltre a soffrire di diverse patologie risultava titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’amministrazione, nel formulare il provvedimento di rigetto, ha dichiarato inammissibile la domanda di ricongiungimento solo con riferimento alla circostanza che il richiedente non fosse coniugato, limitando la sua valutazione al disposto delle circolari interne.
Viene quindi proposto ricorso al TAR competente avverso il provvedimento di inammissibilità della domanda.
Nel procedimento dinanzi al TAR Calabria sezione staccata di Reggio Calabria, la difesa del militare ha sottolineato come qualsiasi forma di discriminazione giuridica della convivenza rispetto al matrimonio civile si porrebbe in grave violazione dell'articolo 2 della Costituzione, che, com'è noto, "riconosce" i diritti fondamentali dell'uomo, fra i quali non può essere escluso quello ad una vera, stabile ed effettiva convivenza more uxorio, oltre che di numerose ulteriori disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Evidenzia, altresì, la difesa del ricorrente, come il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri abbia errato nel considerare isolatamente la circolare del 2010 e nel non averla letta in combinato disposto con la circolare 27 luglio 2005, prot. 201/1-1, con la quale si sarebbero equiparati gli effetti giuridici della convivenza a quelli discendenti dal matrimonio civile.
Nel decidere, il Collegio si è soffermato principalmente sull’applicabilità dell’istituto del ricongiungimento familiare ai conviventi more uxorio osservando come già la Corte Costituzionale avesse ripetutamente chiarito come nessuna norma costituzionale o principio fondamentale sia in grado di cancellare le ontologiche differenze tra la famiglia di fatto e quella fondata sul matrimonio, legate ad una scelta delle stesse parti interessate (quella cioè di sposarsi o meno). Inoltre, ha evidenziato la necessità di tutelare i diritti individuali dell’uomo in tutte le formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, specificando che “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione” (Corte Costituzionale, 15 aprile 2010, n. 138), ponendo così le basi per il riconoscimento della rilevanza giuridica della famiglia di fatto.
In maniera del tutto coerente, il Collegio, afferma inoltre che tale riconoscimento è anche frutto di indicazioni provenienti da fonti sovranazionali come la Carta di Nizza[8] e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che affermano il principio di libertà individuale nella scelta del modello familiare. Ed infatti, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha chiarito già da tempo che nell’accezione di “vita privata e familiare” si debbano necessariamente includere anche tutte le unioni di fatto ed i legami esistenti tra componenti di gruppo designato come famiglia naturale (ex multis, sent. 27 ottobre 1994, caso Kroon).
Continua il Collegio affermando che l’evoluzione del concetto di famiglia, comprendendo anche le unioni di fatto tra individui (anche dello stesso sesso) ha trovato valorizzazione nella legge 20 maggio 2016, n. 76 (cd. Legge Cirinnà). Ed infatti, nella seconda parte della legge, dove si tratta della convivenza di fatto tra «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile» prevede all’art. 37 per l’accertamento della stabile convivenza si faccia riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art.4 ed alla lettera b) del comma 1 dell’art. 13 del regolamento di cui al DPR30.05.1989 n. 223.
Come evidenziato, la legge Cirinnà nulla dispone in riferimento alle coppie unite di fatto, disciplinando solo quelle unite civilmente e ponendo il problema, nel caso qui in commento, dell’applicabilità dell’istituto del ricongiungimento anche ad esse.
Il consiglio riesce a superare questa interpretazione richiamando le pronunce della Corte Costituzionale (ex multis n. 213 del 23.09.2016) con cui si afferma in maniera chiara che sebbene vi sia una distinta considerazione costituzionale e normativa tra la convivenza e il rapporto coniugale, non si esclude la compatibilità con alcune discipline riguardanti aspetti particolari dell’uno o dell’altro istituto che possano presentare analogie, ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell'art. 3 della Costituzione.
L’elemento di congiunzione si può quindi rinvenire dall’esigenza di tutelare il diritto all’unità familiare ex. Art. 29 Costituzione collocabile tra i diritti inviolabili dell’uomo ai sensi dell’art. 2 della Costituzione stessa. A conferma, proprio l’Arma dei Carabinieri aveva affermato, con una precedente circolare del 2005, mai abrogata, che “al militare dell'Arma"convivente" devono essere applicate le norme regolamentari previste per l'ammogliato, solo se egli possa dimostrare una convivenza more uxorio”.
Sull'appello proposto dall'Amministrazione, il consiglio di Stato - IV sezione con Sentenza n. 321 del 2020 depositata in data 17.06.2020, ha poi confermato quanto affermato dai Giudici di prime cure ribadendo l'importanza, per il caso di specie, della preminenza del valore dell'unione familiare soprattutto in presenza di analogie che possano dare piena attuazione a valori costituzionalmente garantiti e che quindi possano equiparare le coppie di fatto a quelle coniugate.
In definitiva, occorre evidenziare come la presente sentenza apra le porte a valutazioni che devono comprendere necessariamente questa nuova interpretazione, anche in contesti dove è massimo il principio della discrezionalità amministrativa per via della specialità che caratterizza l'impiego del personale nelle Forze Armate e Forze di Polizia ai sensi dell’art. 19 della legge 183 del 2010.
COME TUTELARSI
CONTATTA lo studio legale degli avvocati MAIELLA e CARBUTTI per ricevere assistenza e tutela legale mandando una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure via Telefono, WhatsApp o Telegram chiamando il 351- 8799894 (avv. Maiella) oppure 345 - 2238661 (avv. Carbutti).
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[1] Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
[2] La norma si applica al Personale delle forze armate, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di Finanza, trasferito d’autorità.
[3] Il DDL 791 composto da soli 4 articoli tende a stabilire un'uniforme disciplina sui ricongiungimenti familiari tra appartenenti alle Forze Armate e Forze di Polizia sia ad ordinamento militare che civile.
[4] Il Regolamento Generale è la ristampa aggiornata di quello emanato in data 1° dicembre 1963, esso costituisce, senza soluzione di continuità, il testo conclusivo della serie dei Regolamenti Generali dell'Arma – fonte: www.carabineri.it
[5] I sottufficiali, gli appuntati ed i carabinieri che aspirano, invece, al trasferimento – per fondati e comprovati motivi – nell’ambito delle regioni, delle Brigate e delle divisioni o fuori da detti comandi, possono, indipendentemente dal periodo di permanenza ad uno dei suddetti reparti o comandi, presentare istanza, da inoltrare tramite gerarchico, ai comandi competenti a decidere.
[6] Circolare del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri n. 944001-1/T-16/Pers. Mar.
[7] Ex. Multis Cons. Stato – Sez. Terza, sent. 5040 del 2017 pubblicata il 31/10/2017.
[8] proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza e una seconda volta, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo.