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MILANO - ROMA - VERONA

Abuso d'autorità nel diritto militare: reati e pene per violenza, minacce e ingiurie contro inferiori - Violenza (art. 195 c.p.m.p.), Minaccia e Ingiuria (art. 196 c.p.m.p.) contro un inferiore

Abuso d'autorità nel diritto militare: reati e pene per violenza, minacce e ingiurie contro inferiori - Violenza (art. 195 c.p.m.p.), Minaccia e Ingiuria (art. 196 c.p.m.p.) contro un inferiore

In questo articolo approfondiamo il concetto di abuso di potere nel diritto militare, esaminando i reati di violenza, minaccia e ingiuria contro inferiori. Analizziamo le pene previste e l'elemento soggettivo coinvolto, esplorando anche l'uso di espressioni gergali o di caserma come fattori rilevanti. Affidati agli esperti avvocati Selene J. G. Maiella e Pasquale Carbutti per la consulenza in materia di Diritto Penale Militare.

In ambito militare e più specificatamente nel diritto militare si sente spesso parlare di abuso d'autorità da parte del superiore gerarchico, sia esso Comandante di squadra / plotone / Compagnia / Reparto / corpo. In realtà non tutti conoscono il vero significato dell’abuso d'autorità e a quale reato specifico si colleghi. Infatti, per la configurabilità dei reati connessi con l’abuso d'autorità bisogna approfondire ciascuna singola fattispecie e quindi comprendere se possano essere o meno inquadrabili quali autonomi reati, o se, invece, costituiscono ben altre forme delittuose contemplate in altre parti del codice penale militare di pace ovvero in quello ordinario.

I reati più importanti sono certamente quelli contemplati dall’art. 195 c.p.m.p. “ Violenza contro un inferiore” e dall’art. 196 c.p.m.p. “Minaccia o ingiuria ad inferiore”. Un discorso a parte, sebbene strettamente connesso con i due articoli in precedenza nominati, merita l’art. 199 c.p.m.p. “Cause estranee al servizio o alla disciplina militare”.

Pertanto, quali le pene? Qual è l'elemento soggettivo per entrambi? Può risultare una esimente l'utilizzo di espressioni gergali o di caserma? Analizziamo singolarmente le prime due norme:

 

Art. 195 c.p.m.p. – Violenza contro un inferiore

La prima norma è contenuta nell’art. 195 c.p.m.p. “Violenza contro un inferiore” e recita “1. Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni. 2. Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

In premessa occorre precisare che l’art. 195 c.p.m.p. disciplina un’ipotesi di reato cd. “plurilesivo” ovvero che offende più valori tutelati dall’ordinamento. In questo caso si preserva il valore della vita o dell’integrità militare di grado inferiore e l’interesse alla coesione, al servizio e all’ordine delle forze armate.

Il primo elemento di rilievo è comprendere cosa si intenda per violenza e fino a che punto essa possa essere consentita. Orbene, autorevole dottrina e consolidata giurisprudenza ritiene che in nessun caso il superiore possa utilizzare mezzo di coercizione fisica. Al pari non è possibile utilizzare violenza contro un inferiore in considerazione di sanzioni disciplinari da esso commesse.

Pertanto, si può affermare che ai fini della configurabilità del delitto in esame, devono essere compresi quegli atteggiamenti, anche se difficilmente classificabili, che consistono in atti di abuso o che provocano pregiudizio fisico, pur senza ledere l’incolumità personale (Cass. Pen. Sez. I , 28 ottobre 1999, n. 5074).

Un caso del tutto particolare ma che merita certamente rilievo è quello del comportamento di un superiore di sesso maschile nei confronti dell’inferiore di sesso femminile. Orbene, il comportamento del primo che, immobilizza e bacia sul collo il secondo non configura il reato di cui all’art. 195 c.p.m.p. essendo stato commesso per cause estranee al servizio ed alla disciplina (Cass. Pen. Sez. III, 19 aprile 2011, n. 19748 in De Jure). Ed infatti, la Cassazione, nel caso in questione ha rimesso gli atti al competente Tribunale di Brescia per la valutazione in ordine a fattispecie delittuose contemplate nel codice penale “ordinario”.

Un’analisi a parte merita certamente il fenomeno del cd. “nonnismo”. All’interno del Manuale esplicativo di Diritto Militare potrete trovare una breve rassegna sul fenomeno, tuttavia, appare opportuno precisare, per quanto qui di interesse, che i comportamenti configurabili come atti di nonnismo non rientrato tra quei comportamenti costituenti il reato di cui all’art. 195 c.p.m.p., piuttosto in diverse ipotesi delittuose previste dal codice ordinario, ciò in quanto i fatti per cui si procede non sono stati attuati per motivazioni inerenti il servizio e quindi come tali non idonei a configurare il delitto di cui all’art. 195 c.p.m.p.

Per quanto concerne le scriminanti, è opportuno precisare che l’intervenire in situazioni in cui l’inferiore si stia apprestando a commettere violenza contro un commilitone non può essere considerato quale delitto punibile ai sensi dell’art. 195 c.p.m.p. potendo, il superiore invocare la legittima difesa (Corte mil. App. 12 gennaio 1988 in Rass. Giust. Mil. 1988, p. 275 e in Codici penali militaari e ordinamento militare ed. 2021, A Tencati)

 

Art. 196 c.p.m.p. – Minaccia o ingiuria a un inferiore

Collegato certamente al precedente è senza dubbio l’art. 196 c.p.m.p. “Minaccia o ingiuria a un inferiore”. Il testo della norma recita: “1 - Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni. 2 - Il militare, che offende il prestigio, l'onore o la dignità di un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni. 3 - Le stesse pene si applicano al militare che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti all'inferiore. 4 - La pena è aumentata se la minaccia è grave o se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell'articolo 339 del codice penale. 5 - Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre a quindici anni”.

Questa norma è molto complessa e ricomprende una serie di comportamenti che, prima facie , potrebbero non essere considerati offensivi.

Infatti, il primo elemento che vale la pena affrontare è quello relativo all’utilizzo di espressioni gergali o “di caserma”. Orbene, sebbene in un primo momento la giurisprudenza aveva permesso che l’uso di tali espressioni non configurassero il reato di cui all’art. 196 c.p.m.p. in quanto utilizzate dal superiore al fine di stigmatizzare alcuni comportamenti contrari alla disciplina, in un secondo momento si è ritenuto che qualunque espressione socialmente interpretabile come offensiva debba essere punita ai sensi dell’art. 196 c.p.m.p. Inoltre, considerando l’elemento soggettivo che è il dolo generico, nessuna espressione può essere giustificata da alcuna motivazione. Infatti, l’elemento soggettivo è rappresentato proprio dalla volontà di usare espressioni ingiuriose, con la consapevolezza dell’attitudine offensiva delle parole usate. E quindi il fatto che siano state utilizzate espressioni “di uso comune in ambienti di scarsa educazione sociale” non sono elementi ritenuti utili al fine di escludere la sussistenza del reato qualora tali espressioni siano connotate da “una capacità offensiva del prestigio e della dignità, in particolare sociale e intellettuale, del soggetto passivo” (Cass. Pen. Sez. I., 6 marzo 2001 in rass. Giust. Mil. p. 66).

Volendo trovare una definizione di una espressione ingiuriosa in ambito militare, si può affermare che l’espressione deve essere lesiva dell’onore e della dignità personale e che, nel contesto temporale ed ambientale abbia anche attitudine lesiva e sia espressiva di disprezzo (Corte mil. app., sez. dist. Verona, 23 febbraio 1990, in rass. Giust. Mil. 1990, p. 90).

Infine, per quanto concerne la fattispecie della Minaccia ad un inferiore, è sufficiente che la condotta posta in essere dal superiore sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, non essendo necessario che questi si sia sentito effettivamente intimidito” (Cass. Pen. Sez. I 11 aprile 2018, n. 16139 in Codici Penali Militari e ordinamento militare di A. Tencati).

Si ricordi che il reato di ingiuria, all’interno del codice penale ordinario è stato depenalizzato con il D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. Diversamente, nel Codice penale militare continua ad essere presente. Per approfondimenti in riferimento al singolo reato di minaccia (art. 229 c.p.m.p.) e ingiuria (art. 226 c.p.m.p.) nel codice penale militare di pace clicca qui.

 

Conclusioni

Dalla breve disamina dei due articoli sopra menzionati si evince chiaramente che per ciascuna fattispecie bisogna analizzare nel dettaglio gli elementi che hanno determinato l’imputazione. Per tale ragione è opportuno affidarsi ad avvocati esperti nella specifica materia ed in questo, gli avvocati Selene J. G. Maiella e Pasquale Carbutti vantano una considerevole esperienza in tema di Diritto Penale Militare.

 

PER CONTATTARE GLI AVVOCATI MAIELLA E CARBUTTI

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