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MILANO - ROMA - VERONA

Reati militari commessi dai subordinati: insubordinazione con violenza e minaccia - Artt. 186 e 189 c.p.m.p.

Reati militari commessi dai subordinati: insubordinazione con violenza e minaccia - Artt. 186 e 189 c.p.m.p.

In questo articolo, esploreremo due dei reati più comuni commessi dai subordinati: l'insubordinazione con violenza (art. 186 c.p.m.p.) e l'insubordinazione con minaccia o ingiuria (art. 189 c.p.m.p.). Spesso poco conosciuti, questi reati possono manifestarsi in situazioni che fanno parte della vita quotidiana degli ambienti militari. Approfondiremo le caratteristiche di tali reati, l'elemento soggettivo e l'importanza di affidarsi a un avvocato specializzato in diritto penale militare, come gli avvocati Selene J. G. Maiella e Pasquale Carbutti, per una corretta difesa e assistenza legale. 

In altri articoli abbiamo trattato di alcuni dei reati più comuni che possono essere commessi dai superiori gerarchici nei confronti dei subordinati. In particolare, abbiamo trattato gli articoli relativi alla violenza contro un inferiore (art. 195 c.p.m.p.) e alla minaccia o ingiuria contro un inferiore (art. 196 c.p.m.p.), ricompresi nel più ampio campo dell'abuso d'autorità .

Continua a leggere per comprendere meglio queste questioni delicate e complesse all'interno dell'ambito militare.

 

Insubordinazione con violenza (art. 186 c.p.m.p.)

Il militare che usa violenza contro un superiore è punito con la reclusione militare da uno a tre anni.

Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata”.

Questo articolo è stato modificato dall’art. 1 della L. 25 novembre 1985, n. 689 con pene molto più blande ma soprattutto eliminando la distinzione di gravità se il reato fosse stato commesso nei confronti di un Ufficiale o altro militare.

L’elemento soggettivo è il dolo generico, pertanto è sufficiente che l’autore abbia voluto l’evento, senza che abbia alcuna rilevanza il “motivo” per cui viene compiuta la violenza.

A tal proposito vale ricordare che in base al principio di specialità di cui all’art. 15 del Codice penale militare di pace, un militare che usa violenza nei confronti di altro militare superiore viene giudicato per il reato di cui all’art. 186 c.p.m.p. nella considerazione che si viola il rapporto di supremazia esistente nell’ambito dell’amministrazione militare tra superiore gerarchico e inferiore. Pertanto, non trovano applicazione gli artt. 336 (Violenza o minaccia a un pubblico Ufficiale) e 337 (Resistenza ad un pubblico Ufficiale) e 341 bis (Oltraggio a Pubblico Ufficiale) del codice penale.

Altra analogia è quella che vede l’art. 186 c.p.m.p. molto simile all’art. 195 c.p.m.p. sia in termini di pena che di configurabilità.

 

Insubordinazione con minaccia o ingiuria (art. 189 c.p.m.p.)

Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni.

Il militare, che offende il prestigio, l'onore o la dignità di un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni.

Le stesse pene si applicano al militare, che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti al superiore”.

Anche per la configurabilità del reato di cui all’art. 189 c.p.m.p. l’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico, pertanto, come per il reato di cui all’art. 186 c.p.m.p. è sufficiente che l’autore abbia voluto l’evento, senza che abbia alcuna rilevanza il “motivo” per cui viene compiuta la violenza. Possiamo dire che il medesmo principio è applicabile anche nel caso degli atri due reati similari ovvero dell’art. 195 e 196 c.p.m.p.

Secondo un consolidato Giurisprudenziale che vale richiamare, il reato di insubordinazione con ingiuria il dolo consiste proprio nella cosciente volontà di pronunciare parole o compiere gesti di univoco significato offensivo. Moventi e finalità particolari sono irrilevanti poiché il particolare rigore con cui sono improntati i rapporti della disciplina militare conduce a considerare offesa all’onore ed al prestigio ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore ed anche il tono arrogante, perché contrari alle esigenze della disciplina militare per la quale il superiore deve essere tutelato. (Cass. Pen. Sez. I, 30 gennaio 1990, n. 1172 in A. Tencati – Codici penali militari ed. 2021).

Ciò è il classico esempio in cui il militare, indispettito per le parole del superiore si rivolga ad egli con espressioni volgari di insofferenza.

Conclusioni

Dalla breve disamina dei due articoli sopra menzionati si evince chiaramente che per ciascuna fattispecie bisogna analizzare nel dettaglio gli elementi che hanno determinato l’imputazione. Per tale ragione è opportuno affidarsi ad avvocati esperti nella specifica materia ed in questo, gli avvocati Selene J. G. Maiella e Pasquale Carbutti vantano una considerevole esperienza in tema di Diritto Penale Militare.

 

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