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MILANO - ROMA - VERONA

Effetti disciplinari delle sentenze di assoluzione o di estinzione del reato

Effetti disciplinari delle sentenze di assoluzione o di estinzione del reato

Tra le problematiche disciplinari che gli avvocati esperti in diritto militare Maiella e Carbutti si sono trovati ad affrontare vi sono certamente quelle relative agli effetti delle sentenze di assoluzione e proscioglimento o anche di estinzione del reato sui procedimenti disciplinari in esito al giudicato penale. Infatti, non tutte le formule di proscioglimento / assoluzione ed estinzione del reato, portano ad una automatica esclusione della potestà disciplinare in capo all’autorità militare.

Con una sentenza di prescrizione è giusto l’avvio del procedimento disciplinare? Con una Messa alla prova è possibile ricevere una sanzione disciplinare di stato? È possibile che con un’assoluzione ai sensi dell’art. 131bis c.p. (particolare tenuità) si possa ricevere una sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore o di stato? E ancora… È possibile che con una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato si possa rischiare di essere congedati? In esito ad una sentenza di assoluzione è legittima una sanzione disciplinare di corpo o di stato? Si può essere sospesi a seguito di una sentenza di assoluzione? E’ legittima la perdita del grado o la rimozione a seguito di una sentenza di proscioglimento o di estinzione del reato?

In questo breve articolo analizzeremo le formule di proscioglimento o estinzione del reato più comuni ed il conseguente riflesso sulla vita militare ed in particolare, quali di queste escludono o non escludono la potestà disciplinare dell’Amministrazione.

 

Assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso

Partiamo subito con l’affermare senza ombra di smentita che una sentenza di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso è l’unica formula che preclude l’azione disciplinare. Con tale formula, infatti, si indica che la condotta criminosa ascritta all’imputato non è mai esistita ovvero non è mai stata compiuta da alcuno. L’imputato è, quindi, estraneo a un fatto giuridicamente inteso che non è neanche avvenuto. Quando il giudice utilizza questa formula assolutoria presuppone che nessuno degli elementi integrativi della fattispecie criminosa contestata risulti provata. Pertanto, tale formula assolutoria viene adottata quando il fatto di reato addebitato non trova riscontro dalle risultanze processuali ovvero quando mancano del tutto gli elementi oggettivi che dovrebbero integrare la condotta, l’evento o il rapporto di causalità.

In tal senso è importante ricordare che ai sensi del co. 1 dell’art. 653 c.p.p. «La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso».

Pertanto, l’assoluzione “perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso” esclude del tutto che si possa avviare l’azione disciplinare e se avviata o conclusa in attesa della sentenza passata in giudicato, a norma dell’art. 1393 del C.o.m., il militare ne può chiedere l’annullamento entro 6 mesi dall’irrevocabilità della stessa.

L’unica eccezione riguarda il caso in cui all’interno del procedimento penale emergano fatti correlati con il fatto reato, non conosciuti dall’amministrazione ma che possono essere valutati in sede disciplinare.

Questione dibattuta è invece l’assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, dichiarata in fase pre dibattimentale dinanzi al GUP, il quale assolve solitamente con la formula di “non luogo a procedere” (ex. art. 529 c.p.p.), pertanto senza una vera e propria istruttoria dibattimentale. In tali casi la giurisprudenza non è uniforme nel ritenere applicabile l’art. 653 c.p.p. e quindi escludibile a priori l’azione disciplinare

 

Assoluzione perché il fatto non costituisce reato

La seconda formula assolutoria piena è certamente “perché il fatto non costituisce reato” . Di certo, da un punto di vista penalistico è senz’altro una vittoria. Tuttavia, per un militare non è proprio così e vediamo il perché.

In questo caso il fatto addebitato viene accertato che sia stato commesso dall’imputato ma non rappresenta un illecito penale, perché, ad esempio, manca l’elemento soggettivo o il presupposto della condotta. Solitamente il giudice utilizza questa formula di proscioglimento anche quando sono integrati sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo, ma, ad esempio, il fatto è stato commesso in presenza di una delle cause di giustificazione (es. legittima difesa)

Pertanto, in questo caso l’Amministrazione potrà procedere al vaglio disciplinare.

 

Assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato

Questa formula assolutoria, certamente meno utilizzata delle precedenti, viene pronunciata quando il fatto non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo. Il fatto si è concretizzato, ma è estraneo a qualsiasi norma incriminatrice. Oppure, tale formula viene utilizzata quando il fatto era previsto come reato, ma la relativa norma di legge ha perso efficacia, oppure quando una legge ha depenalizzato determinati reati, trasformandosi in illeciti amministrativi;

Anche in questo caso l’Amministrazione potrà procedere al vaglio disciplinare

 

Art. 131 bis c.p. – Assoluzione per particolare tenuità

Anche questa formula di proscioglimento libera l’imputato da qualunque conseguenza sotto il profilo penalistico, lasciando però all’Amministrazione una valutazione sotto il profilo disciplinare.

L’art. 131-bis del codice penale ha visto una recente rivisitazione dopo la cosiddetta riforma “Cartabia”. Infatti, i primi due commi dell’art. 131 bis c.p. stabiliscono che: “I. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. II. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”.

Va detto a tal proposito che l’istituto giuridico previsto dall’art. 131 bis c.p. ha visto delle recenti ed importanti modifiche a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di cui la più importante è quella che riguarda i limiti di pena che nella previgente novella prevedeva la possibilità di applicazione dell’art. 131bis ai delitti puniti con una pena nel «massimo a cinque anni», mentre nell’attuale versione prevede che si possa ottenere un’assoluzione per particolare tenuità anche per i delitti che prevedono una pena nel «minimo a due anni» così da estendere l’applicazione a molti altri reati.

Per un approfondimento sull’istituto della particolare tenuità applicato ai reati militari si veda anche questo approfondimento (CLICCA QUI).

 

Art. 168 bis c.p. – Sospensione del procedimento per messa alla prova dell’imputato

Un altro istituto molto importante ma che non esclude la punibilità del militare in sede disciplinare è quello previsto dall’art. 168 bis c.p. , ovvero quando in esito ad un procedimento penale vi sia la richiesta dell’imputato della messa alla prova.

L’art. 168 bis c.p. anch’esso novellato in minima parte dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 prevede che: “I. Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato, anche su proposta del pubblico ministero, può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

  1. La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.

III. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore”.

In questo caso non parla propriamente di assoluzione, bensì di un istituto che ha l’obiettivo di evitare un appesantimento della Giustizia e di fare in modo che una persona incriminata per reati “bagatellari” possa “liberarsi” di una eventuale condanna effettuando un programma riparativo.

Pertanto, da un punto di vista prettamente disciplinare, un militare che chiede l’estinzione del reato con la messa alla prova non sarà certamente liberato dalle conseguenze disciplinari del fatto addebitatogli.

 

Art. 162 ter c.p. – Estinzione del reato per condotte riparatorie

Un altro istituto giuridico importante che rileva nella questione che qui si discute è l’estinzione del reato per condotte riparatorie. La norma di cui all’art. 162 – ter c.p. Afferma che: “I. Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.

(…)

III. Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie”.

Anche in questo caso la mera riparazione o risarcimento del danno potrà avere solo un effettuato attenuante nel procedimento disciplinare ma non potrà essere invocata l’esclusione dello stesso, avendo l’amministrazione legittimazione ad avviarlo e concluderlo con una sanzione disciplinare di stato o di corpo.

 

Prescrizione

La prescrizione è una causa di estinzione del reato che si verifica allorché non sia stato possibile giungere ad una sentenza irrevocabile di condanna dell’imputato entro un preciso termine temporale individuato dalla legge.

Anche in questo caso non potrà essere invocata l’esclusione dell’azione disciplinare.

 

Lo studio legale degli avvocati Maiella e Carbutti, grazie all’esperienza maturata nel settore del diritto militare in generale, del Diritto Penale Militare e delle sanzioni disciplinari in particolare, può fornire assistenza sia nei procedimenti penali che disciplinari instaurati a seguito di giudicato penale. Infatti, per un militare diventa fondamentale farsi assistere da un avvocato che tratti la specifica materia del diritto militare proprio in ragione della particolarità di tale disciplina e degli effetti che qualunque evento della vita provata possa avere sul servizio.

 

Va ricordato altresì che gli avvocati Maiella e Carbutti possono offrire assistenza e tutela legale nel procedimento disciplinare di stato ai sensi del comma 3 bis dell’art. 1370 del D. Lgs. 66 del 2010 secondo il quale “Nei procedimenti disciplinari di stato il militare inquisito, in aggiunta al difensore di cui ai commi 2 e 3, puo' farsi assistere, a sue spese, anche da un avvocato del libero foro”.

 

COME CONTATTARE GLI AVVOCATI MAIELLA E CARBUTTI

Per assistenza o per fissare una consulenza, CONTATTA subito lo Studio Legale degli Avvocati Maiella e Carbutti all’indirizzo email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. , al numero 351-8799894 (avv. Maiella) oppure al numero 345-2238661 (avv. Carbutti) . 

Per saperne di più sui PROCEDIMENTI DISCIPLINARI e su gli altri istituti di DIRITTO AMMINISTRATIVO MILITARE consigliamo anche il nostro MANUALE ESPLICATIVO DI DIRITTO MILITARE (Per maggiori info sul manuale e sui contenuti clicca qui)

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