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Diffamazione attraverso l'utilizzo dei social network e app di messaggistica

Diffamazione attraverso l'utilizzo dei social network e app di messaggistica

Cosa si intende per diffamazione a mezzo stampa? E quando la diffamazione viene effettuata attraverso facebook o altri social network? Quando si configura il reato di diffamazione? Da recenti statistiche il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) è in crescita soprattutto nella forma aggravata a causa della diffusione dei social network o comunque attraverso altre applicazioni di messaggistica. Infatti, la diffamazione a mezzo facebook o comunque attraverso un canale social con i commenti visibili ad un numero indeterminato di persone può integrare la fattispecie di diffamazione aggravata. In questo articolo dello studio legale degli avvocati Maiella e Carbutti si approfondiranno le questioni sottese al reato ordinario.

INTRODUZIONE

La questione si inquadra tra il diritto costituzionalmente riconosciuto della libertà di manifestazione del proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (art. 21 Cost.) e le manifestazioni del pensiero con cui si offende l’altrui reputazione comunicando con più persone, integrando così il reato di diffamazione (art. 595 c.p. e art. 227 c.p.m.p.). Per tale reato è quindi necessario che la comunicazione venga rivolta ad una pluralità di soggetti terzi e che l’offeso non sia presente al momento della diffusione di tali comunicazioni (distinguendosi così dall’ingiuria).

DIFFAMAZIONE ORDINARIA

Normativa

La diffamazione ORDINARIA è prevista dall’art. 595 (Diffamazione):

  1. Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
  2. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
  3. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
  4. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Bene giuridico tutelato

Il reato di diffamazione assume particolare rilevanza in quanto si ritiene essere lesivo dell’onore della persona quale valore costituzionalmente garantito in quanto forma di espressione della personalità dell’individuo.

Condizioni di procedibilità

L’art. 597 c.p., Querela della persona offesa ed estinzione del reato, prevede che:

  1. Il delitto previsto dall'articolo 595 è punibile a querela della persona offesa.
  2. Se la persona offesa e l'offensore hanno esercitato la facoltà indicata nel capoverso dell'articolo precedente, la querela si considera tacitamente rinunciata o rimessa.
  3. Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria di un defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti, l'adottante e l'adottato. In tali casi, e altresì in quello in cui la persona offesa muoia dopo avere proposta la querela, la facoltà indicata nel capoverso dell'articolo precedente spetta ai prossimi congiunti, all'adottante e all'adottato.

Pertanto, la diffamazione ordinaria è procedibile su querela della vittima del reato stesso.

Pena

Il reato di diffamazione è punito con la multa fino a 1032 euro e la reclusione fino a 1 anno.

Nel caso in cui invece il reato abbia ad oggetto l’attribuzione di un fatto determinato la reclusione va fino a 2 anni e la multa fino a 2065 euro.

Quando la diffamazione è a mezzo stampa è punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa non inferiore a 516 euro.

Nel caso in cui l’offesa è rivolta ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o a una sua rappresentanza o ad un’autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate (art. 595, ultimo comma, c.p.).

Rimedi

            Dal punto di vista penale la legge prevede che la vittima di tale reato possa sporgere querela (art. 336 e seguenti c.p.p.) essendo uno dei reati specifici per i quali la perseguibilità penale è sottoposta alla necessaria proposizione della stessa da parte della vittima.

Dal punto di vista civile, chi ritiene di essere stato leso da una condotta ascrivibile a quelle su indicate può agire in giudizio per il risarcimento del danno.

Giurisprudenza

La Corte di Cassazione si è più volte espressa sul tema della diffamazione a mezzo stampa. La diffamazione a mezzo stampa è riscontrata oggi con particolare frequenza sui social network, in particolare facebook. I social network non possono però essere considerati mezzi di informazione e quindi chi discrimina o insulta terze persone non può invocare a sua difesa il diritto di cronaca e di critica. La Corte ha affermato che tra tali ipotesi devono rientrare quelle comunicazioni diffuse con ogni mezzo di pubblicità idoneo a provocare una ampia e discriminata diffusione della notizia tra un numero indeterminato di persone [Corte di Cassazione, sez. I penale, sentenza 24431/2015]. In particolare la Corte ritiene che l’utilizzo “di una bacheca di facebook, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indiscriminato di persone [e inoltre] integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione”.  Di conseguenza “la condotta di postare un commento sulla bacheca di facebook realizza, pertanto, la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595, comma 3, c.p.”.

Allo stesso modo si è espressa la Cassazione in un’altra occasione richiamando la sentenza appena citata [Corte di Cassazione, sez. V penale, 8328/2015).

Sulla risarcibilità danno si è espresso il Tribunale di Torino con una sentenza del 6/03/09 distinguendo tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale. Il primo “presuppone necessariamente la prova della diretta incidenza della divulgazione nella sfera patrimoniale del diffamato sotto il profilo del danno emergente e del lucro cessante” e deve essere provato dall’attore (vittima del reato). Il danno non patrimoniale deve invece essere identificato nella “sofferenza psichica derivante dalla pubblicazione della notizia falsa. Per la sussistenza di tale titolo di danno occorre fare ricorso, quanto al nesso di causalità, alle leggi statistiche o di probabilità in base alle quali può affermarsi che la condotta dell’agente è stata condizione necessaria e sufficiente per il patimento dell’agente, mentre per quanto attiene alla prova del danno, […] questo deve ritenersi sussistente in re ipsa, nel senso che dalla condotta diffamatoria non può non discendere un’incidenza negativa sul patrimonio morale e psichico della persona offesa”.

Inoltre, una interessante pronuncia della Cassazione secondo cui non è necessario che il destinario sia espressamente menzionato. Infatti, “Non osta all'integrazione del reato di diffamazione l'assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, se lo stesso sia ugualmente individuabile sia pure da parte di un numero limitato di persone: nello specifico, l'individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso, sia in via processuale che come fatto preprocessuale, cioè come piena e immediata consapevolezza dell'identità del destinatario che abbia avuto chiunque sia entrato in contatto con la propalazione diffamatoria. Al verificarsi di tali presupposti, pertanto, deve ritenersi configurabile il reato di diffamazione anche quando l'espressione lesiva dell'altrui reputazione risulti apparentemente riferita, in assenza di indicazioni nominative, ad un ampio novero di persone, identificato in ragione della appartenenza a un gruppo o una determinata categoria” (Cassazione penale sez. VI, 06/12/2021, n.2598)

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