Benvenuti nell'approfondimento legale sul reato di diffamazione militare (CLICCA QUI se vuoi approfondire il reato di diffamazione ordinaria)a cura dello Studio Legale degli avvocati MAIELLA e CARBUTTI, tra i più importanti avvocati militari in Italia. In questo articolo, analizzeremo il contesto della diffamazione nell'ambito militare, esaminando l'articolo 227 del codice penale militare, le sentenze significative e le implicazioni legali. Con il sempre crescente utilizzo dei social network come veicolo di comunicazione e discussione, il fenomeno degli "haters" e dei commenti diffamatori può avere anche implicazioni in ambito militare. Scopriremo cosa costituisce la diffamazione militare, chi può essere considerato colpevole, le possibili sanzioni e le vie legali per una possibile assoluzione. Continua a leggere per ottenere una chiara comprensione delle norme e delle conseguenze legate alla diffamazione militare.
Va poi ricordato che la diffamazione a mezzo facebook o comunque attraverso i canali social, con i commenti visibili ad un numero indeterminato di persone, può integrare la fattispecie di diffamazione aggravata, anche in ambito militare.
Ma andiamo per gradi e vediamo di cosa si tratta:
LA DISCIPLINA
In ambito militare la norma di riferimento è l’art. 227 c.p.m.p. (Diffamazione):
- Il militare, che, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende la reputazione di altro militare, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a sei mesi [ 260 comma 2].
- Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, o è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni.
- Se l'offesa è recata a un corpo militare, ovvero a un ente amministrativo o giudiziario militare, le pene sono aumentate [ 50, 228; 595 c.p.].
Rileva anche l’art. 228 c.p.m.p. (Ritorsione. Provocazione) il quale prevede che:
- Nei casi preveduti dall'articolo 226, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.
- Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 226 e 227 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso [ 599 c.p.].
BENE GIURIDICO TUTELATO
Anche in questo caso il bene giuridico tutelato è l’onore della persona offesa quale valore costituzionalmente tutelato in quanto espressione della personalità dell’individuo. Il requisito essenziale per la configurabilità di tale reato è che sia il soggetto attivo che quello passivo del reato siano entrambi militari. Non rilevano, in questo caso, il grado di ciascuno di essi ovvero il rapporto gerarchico intercorrente tra loro.
CONDIZIONI DI PROCEDIBILITA’
A differenza della diffamazione ordinaria, il reato di cui al co. 1 dell’art. 227 del c.p.m.p. è procedibile solo su istanza del Comandante di Corpo che, dovrà espressamente richiedere il procedimento ai sensi dell’art. 260 c.p.m.p. Nel caso in cui il Comandante non si avvarrà di tale facoltà, il reato verrà punito unicamente con una sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore.
Diversamente, per le ipotesi di cui ai co.2 e 3 dell’art. 227 c.p.m.p. si procederà attraverso il procedimento penale, senza che il Comandante possa esercitare alcuna facoltà di cui all’art. 260 c.p.m.p.
PENA
Il reato di diffamazione è punito con la reclusione militare fino a 6 mesi nel caso del co. 1 dell’art. 227 c.p.m.p..
Nel caso invece in cui l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato o è attuata per mezzo stampa o altro mezzo pubblicitario o in atto pubblico, la pena va da 6 mesi a 3 anni (co. 2 art. 227 c.p.m.p.).
Le pene sono aumentate nel caso in cui l’offesa è rivolta ad un corpo militare o a un ente amministrativo, giudiziario o militare (co. 3 art. 227 c.p.m.p.).
RIMEDI
La vittima non ha, in ambito militare, la possibilità di agire direttamente nei confronti dell’autore del reato. Tuttavia, non si esclude che egli possa comunicare una possibile configurabilità del reato al proprio Comandante di Corpo per le azioni di competenza. In realtà, sebbene nel Codice penale militare di pace vi sia una diversa disciplina legata alla procedibilità dei reati, è pur vero che la vittima potrà sempre presentare idonea denuncia-querela agli organi di PG esterni. Tuttavia, nell’ambito militare, stante il rapporto di gerarchia, è sempre consigliabile far riferimento al proprio Comandante di Corpo per la denuncia di tali reati. Ricordiamo, infatti, che quest’ultimo è un Ufficiale di Polizia Giudiziaria e come tale, competente anche nella ricezione di denunce-querele in ambito militare.
GIURISPRUDENZA
La Corte Costituzionale si è espressa sulla legittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui richiede la procedibilità solo su istanza del Comandante di Corpo. La Corte ha concluso per la legittimità della norma in quanto nonostante la mancata richiesta da parte del Comandante di Corpo precluda la possibilità per la vittima di costituirsi parte civile nel processo penale, tale limitazione è comunque compensata dal fatto che il danneggiato stesso può proporre l’azione per il risarcimento dei danni davanti al giudice civile. In tal modo, quindi, vengono tutelate le vittime sia nel caso in cui il reato sia stato di lieve entità e sia di grave entità (procedibilità d’ufficio). [Corte Costituzionale, 13/7/2000, n. 410]
Sul tema della procedibilità su richiesta del Comandante di Corpo si è espressa la Corte di Cassazione, sez. I penale, del 10/07/2000 n. 9549, affermando che se il fatto “si è svolto in presenza di più persone, ove ritenuto offensivo della reputazione del militare menzionato, va […] qualificato come diffamazione di cui all’art. 227 C.P.M.P.. Tale reato, nella sua forma non circostanziata, è punibile con la reclusione militare fino a 6 mesi, e quindi soltanto su richiesta del Comandante di Corpo, secondo la previsione del successivo articolo 260”. Nel caso di specie quindi la Cassazione ha dichiarato l’annullamento della sentenza impugnata rinviando alla Corte Militare di Appello la quale dovrà valutare se c’è stata richiesta da parte del Comandante di Corpo e se questa è stata tempestiva.
La Corte Costituzionale si è espressa anche in riferimento all’applicabilità dell’art. 596 c.p. all’ambito militare. La Corte ha definitivamente ammesso l’applicabilità dell’art. 596, comma 3, numeri 1, alla diffamazione in ambito militare dichiarando quindi illegittimo l’art. 227 c.p.m.p. nella parte in cui non prevede l’applicabilità di tale disposizione anche all’ambito militare. [Corte Costituzionale, 29/10/09, n. 273].
Per quanto riguarda i presupposti oggettivi e soggettivi del reato, la Cassazione penale ha affermato che rispetto alla diffamazione ordinaria “presenta una identità strutturale, distinguendosene solo per il requisito della necessaria concorrenza della qualità militare di entrambi i soggetti, attivo e passivo, del reato”. Quanto al requisito oggettivo la Corte ritiene che “la destinazione alla divulgazione della notizia diffamatoria può invero trovare fondamento, oltre che nella volontà esplicita del mittente-autore, nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (disciplinare, amministrativo o giudiziario) che deve essere portato a conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario, sempre che l’autore della missiva prevedesse o volesse la messa a conoscenza di terzi del relativo contenuto”. La Corte prosegue poi affermando che il reato di diffamazione si deve considerare integrato quando si ha comunicazione lesiva della reputazione altrui, restando irrilevante la sua ulteriore espansione e diffusione tali da raggiungere la persona offesa. [Corte di Cassazione, sez. I penale, 8/7/2015, n. 43695].
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