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MILANO - ROMA - VERONA

La richiesta di procedibilità nel Diritto Penale Militare: considerazioni sull'art. 260 c.p.m.p.

La richiesta di procedibilità nel Diritto Penale Militare: considerazioni sull'art. 260 c.p.m.p.

Molti militari contattano lo studio legale degli avvocati militari Selene Maiella e Pasquale Carbutti affermando di essere stati oggetto di comportamenti penalmente rilevanti da parte di altri militari, configurando in tal modo, ipotesi delittuose ricadenti del Codice penale militare di pace. Per tale ragione chiedono supporto ed assistenza legale nella redazione di denunce-querele. Tuttavia, nel diritto penale militare le condizioni di procedibilità sono diverse rispetto al c.d. rito “ordinario”. In questo articolo approfondiremo brevemente ed in maniera molto “semplice” la questione della procedibilità nei reati penali militari con particolare riferimento all’art. 260 c.p.m.p.

L’art. 260 del Codice Penale Militare di Pace è forse uno degli articoli più importanti del codice in commento. Come noto i reati cd. “ordinari” possono avere una doppia perseguibilità: a querela di parte o d’ufficio.

In ambito militare la questione si complica e non poco. Infatti, il legislatore ha mancato di prevedere la possibilità che un reato cd. Militare possa essere perseguibile a querela di parte. La ratio di tale previsione va ricercata nel fondamento dell’azione penale militare che è diretta esclusivamente alla tutela del servizio e della disciplina militare. Con ciò ad escludere il fatto che il suo esercizio possa dipendere dalla persona offesa, pur potendosi costituire parte civile all’interno dell’instaurando procedimento penale.

Questo principio, ormai consolidato, non è stato tuttavia scevro di critiche e osservazioni dottrinali oltre che giurisprudenziali. Ovviamente, non va esclusa a priori la denuncia-querela di parte anche se con effetti procedurali ben diversi da quelli relativi al rito “non militare”.

La questione che qui interessa è però relativa al contenuto dell’art. 260 c.p.m.p. , con particolare riferimento al comma 2 che così recita:

I reati, per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi [ 123, 125 comma 3, 139, 147, 151 comma 3, 161, 165, 166, 170] [ 175 comma 5, 184-185, 204 commi 1 e 2, 221-222, 223 comma 2] [ 226, 227 comma 1, 229 comma 1, 233, 235 comma 3, 236 comma 1], e quello preveduto dal numero 2 dell'articolo 171 sono puniti a richiesta del comandante del corpo o di altro ente superiore, da cui dipende il militare colpevole, o, se più sono i colpevoli e appartengono a corpi diversi o a forze armate diverse, dal comandante del corpo dal quale dipende il militare più elevato in grado, o, a parità di grado, il superiore in comando o il più anziano . (La Corte cost., con sentenza 13 dicembre 1991, n. 449, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui non prevede che i reati ivi previsti siano puniti a richiesta del comandante di altro ente superiore, allorchè il comandante del corpo di appartenenza del militare colpevole sia la persona offesa dalla condotta contestata»).

 

Tale previsione risiede in una vecchia disposizione che lasciava ai comandanti la possibilità di sanzionare disciplinarmente i militari in caso di lievi reati. Ciò ovviamente sia in un’ottica di economia processuale ma anche evitare che per fatti bagatellari un militare potesse subire un procedimento penale.

Tale previsione ha assunto una grande importanza soprattutto nel periodo della cd. leva obbligatoria che permetteva sanzioni disciplinari sostitutive ai militari in caso di reati che potremmo definire secondari e di lieve entità.

 

In merito all’art. 260 del Codice penale militare di pace, il primo argomento che bisogna analizzare è il computo della pena al fine di una valida richiesta di procedibilità. Orbene, secondo diversi orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati nel tempo, tale richiesta deve essere fatta tenuto conto della pena edittale applicabile per il singolo reato. A tale computo non si deve fare riferimento alle circostanze aggravanti. Se, invece, si tratta di circostanze aggravanti ad effetto speciale in modo che la pena venga determinata in modo autonomo e predeterminato dalla legge, allora bisognerà tenere in considerazione quest’ultimo dato per comprendere se il reato è perseguibile ex. art. 260 c.p.m.p.

La richiesta deve essere effettuata per iscritto e nella stessa è necessario che sia chiaramente indicata la volontà di demandare l’esercizio dell’azione penale al Pubblico Ministero. Tale richiesta è irrevocabile, per cui una volta che il Comandante ha espresso la sua volontà non sarà più possibile retrocedere sulla richiesta.

Invece, in tema di sanzioni disciplinari, il Comandante può legittimamente avviare un procedimento disciplinare per l’irrogazione di una sanzione di rigore ex. art. 1362 del D. Lgs. 66 del 2010 e contestualmente avanzare una richiesta di procedibilità ex. art. 260 c.p.m.p. Ciò in quanto nell’ordinamento militare non vi è una preclusione all’esercizio dell’azione disciplinare per fatti di rilevanza penale. In tale ottica giova approfondire l’art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare (clicca qui per leggere il nostro approfondimento). In casi del genere, infatti, può accadere che prese due fattispecie identiche, un militare sia punito con la sanzione disciplinare della consegna di rigore ed un altro sia punito con la consegna di rigore e ricevere una condanna in sede penale.

Ultima questione di cui discutere è certamente quella disciplinata dal comma 4 dell’art. 260 c.p.m.p. che recita: “Nei casi preveduti dal secondo e dal terzo comma, la richiesta non può essere più proposta, decorso un mese dal giorno, in cui l'Autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato

Se il dies a quo è certamente rinvenibile nella conoscenza, da parte dell’Autorità (es. comandante di corpo) ha avuto conoscenza del fatto che costituisce reato. Di contro, il problema nasce in riferimento al dies ad quem per cui risulta fondamentale che non solo la richiesta sia stata inviata ma che questa risulti ricevuta. Oggi, tale problema non costituisce più un problema atteso che tutti gli enti militari sono dotati di PEC e quindi di sistemi informatici che certificano in maniera quasi istantanea sia l’invio che la ricezione.

 

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